Selvaggia Sardegna – due settimane erranti

Premessa
Il nostro attuale modo di viaggiare (siamo in due, io e Ric) è minimale ed economico. Viaggiamo con una macchina piccola, attrezzata con un pianale di legno (costruito da Ric) e due pezzi di gommapiuma di recupero. Ci laviamo nel mare, dove capita. Beviamo da bottiglie e taniche riempite alle fontane locali. Mangiamo cibi semplici (frutta fresca e secca, verdura cruda, cous cous reidratato, legumi in scatola, pane, ecc.), con le dovute eccezioni. Ricarichiamo il telefono solo mentre la macchina è accesa (quindi lo usiamo poco). Al mare ci portiamo solo uno zaino con le cose essenziali: pinne, maschera, asciugamano, libro, crema solare e acqua. Decidiamo le tappe giorno per giorno, momento per momento, senza stabilire un itinerario esatto.
Io amo dormire immersa nella natura, parcheggiando su una scogliera o vicino a una spiaggia, con solo il suono del mare che ci culla. Amo svegliarmi poco dopo l’alba e tuffarmi in acqua o vagare tra gli scogli e addormentarmi presto, magari guardando la luna che si specchia nel mare. Adoro non essere vincolata da orari, itinerari e prenotazioni, e scegliere le nostre mete sul momento. Mi piace risparmiare risorse di ogni genere e mi piace la frugalità intesa come leggerezza e semplicità, meno cose a cui pensare, avere solo ciò che è essenziale. Mi piace sentirmi libera e selvaggia.

Il primo giorno abbiamo preso il traghetto la mattina presto e l’abbiamo passato dormendo, leggendo e giocando a burraco. Non mi sono annoiata nemmeno per un attimo, anzi mi sono goduta la lentezza, la pace. Avevo bisogno di mettere via telefono e agenda e iniziare un nuovo libro di Ursula K. Le Guin.
Siamo arrivati poco prima del tramonto e ci siamo catapultati a fare un bagnetto veloce nella prima spiaggia che abbiamo trovato. Poi supermercato (immancabili guttiau, carasau e spianatine) e una bella insalatona con il tonno vegano preparata in macchina. Infine due ore di macchina per arrivare in un parcheggio vuoto, gratuito, circondato da cespugli e a pochi metri dalla spiaggia, dove abbiamo montato il letto e dormito profondamente nonostante il disagio della prima notte di adattamento.

Il secondo giorno mi sveglio poco dopo l’alba e vado sulla spiaggia di Santa Maria: carina, con alle spalle il fiume Cedrino che si immette nel mare. Sono sola, il sole è già caldo, l’unico suono è quello delle onde che si infrangono lievi ai miei piedi, vedo le montagne in lontananza. Eppure percepisco ancora un po’ di disagio, devo adattarmi di nuovo a questo: al mare come casa, alla vita più selvaggia e nuda. Accadrà lo so, presto amerò tutto questo e non vorrò più farne a meno.
Dopo qualche ora arriva una mia cara amica e la sua compagna (e Ric che si è finalmente svegliato), anche loro qui in vacanza. Faccio un bel bagno con lei (il mare è un po’ torbido per via delle correnti ma riusciamo a trovare un posto con acqua limpidissima e incontriamo tante belle razze), poi cambiamo spiaggia perchè abbiamo troppo caldo e andiamo a Osala, dove sonnecchiamo e giochiamo a burraco nell’ombra della pineta. Verso le 18 inizia a soffiare un vento bollente, sembra di avere un phon acceso accanto a noi (dicono che fossero 45 gradi). Stupiti e preoccupati ci rifugiamo: prima nel mare che allevia ben poco, e poi ceniamo con un’insalatona nella fresca casa delle mie amiche (che ci traviano e ci fanno diventare dipendenti dall’Ichnusa al limone e da burraco). Cala la sera ma non il calore e non sappiamo dove dormire. Alla fine facciamo un’oretta di macchina e parcheggiamo vicino al passo Ghenna ‘e Silana, a più di 1000 metri, dove ci sono 32 gradi, tante mucche e una volpe.

Il terzo giorno non mi sveglio sul mare, ma la vista è meravigliosa. Sono immersa nel Supramonte di Urzulei e faccio la pipì mattutina accanto a un toro che sta mangiando dei cespugli profumati. Sveglio presto anche Ric e andiamo a Pedra Longa, una guglia calcarea imponente con accanto una caletta rocciosa e riparata. Mare azzurro e pochi umani. Facciamo due bei lunghi bagni con maschera e pinne e poi ripartiamo verso Cagliari dove ci aspetta un altro mio caro amico che vive lì da poco. Dopo qualche ora arriviamo a destinazione e lui ci porta a Cala Mosca, una spiaggia molto frequentata dove proviamo a usare il suo sup nonostante spiri un forte maestrale. All’andata stiamo tutti sopra e andiamo veloci. Al ritorno io e Ric dobbiamo spingere il sup verso la spiaggia nuotando con le pinne per la forte corrente! Nel frattempo scopriamo un’automobile degli anni ’70 sul fondo del mare, a pochi metri di profondità, ormai ricoperta di alghe.

Poco prima del tramonto il nostro amico ci porta in cima alla Sella del Diavolo, luogo panoramico, affascinante e pieno di piante di agave con fiori altissimi. Poi ci prepara una cena deliziosa e nutriente nella sua casa mentre noi facciamo una piacevole doccia (la prima e l’ultima di questo viaggio). La sera facciamo una passeggiata nel centro di Cagliari (e mangiamo un’ottima granita alla mandorla) ma io sono così stanca che sono in dormiveglia mentre cammino, non capisco più nulla e mi devono trascinare da un posto all’altro… Poi finalmente dormiamo nella sua stanza degli ospiti.

Il quarto giorno il mio amico ci prepara una mega colazione, poi cantiamo un po’ (la musica della nostra amata Barbara Strozzi) e infine ci porta alla spiaggia del Poetto dove passeggiamo, chiacchieriamo e osserviamo la fauna umana locale. Poi lui parte per lavoro e noi andiamo a Cala Fighera, una spiaggia sassosa molto bella e selvaggia, nonostante sia a pochi passi da Cagliari, forse perchè il sentiero è un po’ impervio e nascosto. L’acqua è limpida, celeste e piena di pesci ma inaspettatamente gelida per il forte maestrale. Faccio un bagno bello e breve mentre Ric si avventura tra le rocce e incontra un cormorano tranquillo che si sta asciugando le ali al sole e si fa avvicinare (non cerca di toccarlo per non disturbarlo troppo). Poi finisco di leggere il primo libro della Le Guin mentre il sole cala e rimangono solo uomini nudi intorno a noi (è una spiaggia anche nudista). A cena rivedo un’altra mia cara amica che vive lì: mangiamo un’ottima pizza piena di formaggio vegetale e parliamo tanto e mi sento in pace! Poi ci dirigiamo verso Chia e dormiamo in un parcheggio gratuito e molto verde, vicino a uno stagno, dal quale parte un sentiero che in pochi minuti porta alla spiaggia.

Il quinto giorno mi alzo presto e vado da sola alla spiaggia di Monte Cogoni (molto bella e grande) e poi a Cala del morto (piccola e circondata da rocce e vegetazione, come piace a me). Mi godo la pace della solitudine, inizio un altro libro della Le Guin, poi mi avvicino per fare il bagno e mi accorgo che c’è un uomo che sta prendendo alcune meduse e le sta uccidendo buttandole sulla sabbia… tutto ciò per permettere di fare il bagno a sua figlia. Soffro, mi sento impotente e impreco fortemente. (Togliere la vita ad altri animali e infliggere sofferenza solo per poter fare un bagno di cinque minuti in tranquillità è un abominio. E poi il mare è loro, non nostro, noi siamo ospiti nel loro habitat.) Mi raggiunge Ric che si è finalmente svegliato e io faccio dei bei bagnetti con la maschera, cercando di tenere a bada la mia moderata fobia per le meduse.

Alle 14 pranziamo nella pineta accanto al parcheggio (sempre insalatona mista e guttiau), poi andiamo in macchina fino a Portovesme dove ci imbarchiamo per l’isola di San Pietro, luogo a cui sono particolarmente legata: è qui che ho iniziato ad amare il mare, a fare snorkeling, a sentirmi a casa in mezzo ai pesci. Ci ho vissuto un mese all’anno per tanti anni, durante infanzia e adolescenza, quindi ci sono cresciuta e ci sono molto affezionata. Sbarchiamo alle 19:30 e andiamo alla spiaggia La Bobba a fare un bagno prima del tramonto. Poi passeggiamo nel centro del paese, mangiamo una farinata di ceci, della caponata e delle fave alla menta e poi andiamo a dormire a pochi metri da un’altra spiaggia.

Il sesto giorno andiamo in uno dei miei luoghi preferiti: Cala Fico, un fiordo calcareo con una caletta rocciosa circondata da scogliere ripide e bianche. Estremamente particolare, è difficile descriverlo o immortalare la sua bellezza. Ric si arrampica fino alla cima del promontorio roccioso mentre io faccio un lungo bagno in compagnia di un giovane cormorano che mi passa più volte vicino (anche a meno di un metro). Dopo un riposino faccio un altro bagno insieme a Ric. I pesci abbondano, il fondale è sempre interessante e io mi sento soddisfatta!

Poi torniamo alla macchina, pranziamo sotto a un albero e facciamo una camminata di mezz’ora un po’ in salita per poi riscendere alla bella Cala Vinagra. Panorama meraviglioso con rocce spettacolari, mare cristallino e pieno di sfumature e un’isoletta alla quale arrivare a nuoto. Unica nota negativa: le numerose barche vicine che non mi fanno sentire tanto sicura durante lo snorkeling (invece alla cala siamo quasi soli). Anche qui nuoto con un cormorano e un gabbiano e vedo paesaggi marini che mi ripagano della fatica e del freddo. A riva troviamo un grosso tonno in decomposizione, presumo portato dalla corrente, e un serpente ci attraversa il sentiero mentre torniamo verso la macchina.

Presa dalla frenesia e dalla voglia di vedere tutti i luoghi più belli dei miei ricordi, convinco Ric ad andare anche alla piscina naturale di Nasca, un luogo veramente surreale! Anche qui ci si arriva con una camminata di mezz’ora, prima tra la vegetazione e poi immersi in un paesaggio lunare indimenticabile con rocce friabili bianche modellate in ogni forma. La piscina è una pozza nascosta e sempre calma, dal colore verde smeraldo e piena di gamberetti, spirografi, bonellie e muggini. Ci rilassiamo qui fino quasi al tramonto e poi andiamo a mangiare e dormire a Punta delle Oche, dove, nel raggio di almeno un chilometro, ci siamo solo noi e tanti conigli e lepri.

Il settimo giorno mi sveglio presto, passeggio tra la vegetazione bassa e mi arrampico tra le rocce frastagliate di Punta delle Oche, poi andiamo insieme a fare il bagno nella grande Grotta delle Oche, vulcanica e oscura, e si rivela davvero emozionante. Siamo soli, ogni tanto viene un gommone a visitare la grotta, ma riusciamo comunque a goderci la sua pace. Nuotiamo fino in fondo alla grotta e a me mette molta soggezione perchè è buia, silenziosa, vuota, fredda, solo rocce e acqua, senza nemmeno i coralli o i pesci che si trovano nei primi metri dall’entrata. Un luogo sacro e magico. Andando verso l’uscita della grotta incontro una piccola murena, nascosta in un anfratto, che mi guarda con la bocca spalancata. Poi saliamo di nuovo in macchina e andiamo a La Punta, ovvero la scogliera più a nord dell’isola, dove Ric va in esplorazione tra le rocce e io faccio un altro bagno ma breve perchè ci sono troppe onde e sono un po’ infastidita.

Ci spostiamo e andiamo a La Conca, un’altra scogliera molto particolare, dalla parte opposta dell’isola. Ci sono varie insenature con rocce scure a strapiombo dalle quali tuffarsi da varie altezze (ho resistito alla tentazione solo perchè le ultime volte mi sono fatta un po’ male), una piscina naturale con acqua verde… e a pochi metri ci sono le numerose Grotte della Mezzaluna! Nonostante il mare sia un po’ mosso anche qui, con maschera e pinne ci avventuriamo verso le grotte, entriamo dentro ad alcune di esse fino ad arrivare a quella più bella e grande. La scogliera è altissima e ci sono delle cavità frastagliate che creano dei giochi di luce incredibili in acqua e io rimango affascinata a guardarli. Poi mi accorgo che ci sono alcune meduse vicine e scappo. Rifaccio velocemente tutto il percorso all’indietro e mi rifugio nella piscina naturale. Infine facciamo una sosta alla spiaggia più grande e più bianca dell’isola, La Caletta, anche questa a sud, dove facciamo un bagno al tramonto nelle sue acque limpidissime e mangiamo un’insalata mentre il cielo è ancora pieno di sfumature rosate. Dormiamo vicino a La Conca, in un parcheggio polveroso e solitario, immerso nella vegetazione, a pochi metri dal mare. Mi addormento guardando la luna quasi piena che si riflette nel mare scuro e pensando che vorrei vivere ogni giorno come questi ultimi: natura selvaggia, posti incredibili e un entusiasmo frenetico che mi guida.

L’ottavo giorno ci svegliamo un po’ stanchi e rallentiamo i ritmi (d’altronde è domenica). Facciamo la colazione sul letto (viva i mostaccioli di Oristano) guardando il mare e andiamo a quella che era la mia spiaggia preferita quando ero adolescente: Lucaise. La adoro: una piccola grotta e una scogliera a strapiombo colorata a strisce a sinistra, un scoglio enorme, piatto e chiaro a destra, con un geyser fossile e poi la scogliera continua e diventa tutta rossa e piena di argilla con cui farsi i fanghi. Però non è la giornata ideale, anche qui è un po’ mosso il mare e ci sono diverse meduse. Ric ne tocca una per sbaglio ma si lamenta poco, cosa che mi fa pensare che forse la mia paura è decisamente esagerata.

Andiamo a fare un po’ di spesa, pranziamo e decidiamo di cercare le numerose miniere presenti sull’isola. Prima ne troviamo una con davanti un cadavere in decomposizione (una capra? un cane? non si capisce) che puzza veramente tanto, poi andiamo verso Punta del Becco, dove ci divertiamo a vedere i resti delle miniere di ocra e manganese. Io mi coloro il corpo con le terre gialle e rosse che troviamo e vaghiamo in questo territorio selvaggio (abbiamo perso il conto dei falchi e delle poiane che abbiamo incontrato) fino ad arrivare sulla cima della scogliera. Vista meravigliosa ma sono le ore più calde, non c’è un briciolo di ombra e noi non abbiamo preso l’acqua perchè pensavamo di allontanarci poco. Spero di non svenire e continuo a camminare, stavolta verso la macchina e perlomeno adesso è in discesa. Dopo aver bevuto una bottiglia di acqua a testa, andiamo ad una spiaggia tranquilla e sempre bella, Girin, dove facciamo un bagno tranquillo e leggiamo fino al tramonto. La sera girelliamo per il centro di Carloforte, l’unico paese dell’isola, con poche migliaia di abitanti, e mangiamo un bel piattone di cous cous alla carlofortina (anche detto Cascà a Tabarkin, perchè ci sono molte influenze arabe e liguri in questa zona) in una gastronomia carina. Dormiamo di nuovo vicini a La Conca, eletto luogo migliore dove dormire perchè la notte precedente è stata molto tranquilla e solitaria e perchè ci si può lavare facilmente nelle sue piscinette e insenature.

Il nono giorno facciamo un bagnetto davanti alla nostra “casa” e poi andiamo alla mia seconda spiaggia preferita, ovvero Guidi: acqua perfettamente limpida, scogli interessanti e pesci in abbondanza. Ci facciamo i fanghi cospargendoci il corpo con una pappa di acqua e argilla rossa che si trova accanto alla spiaggia, poi facciamo un lungo bagno e incontriamo qualche medusa, tante razze, delle tracine cicciotte e dall’espressione imbronciata e una miriade di sogliole. Io mi metto a seguire un gruppetto formato da una razza, una tracina e una sogliole che sembrano inseparabili. Il tempo passa così in fretta su questa spiaggia meravigliosa che senza accorgercene andiamo via verso le 15:30 (di solito facciamo una pausa di un’oretta, nelle ore più calde, in cui mangiamo e stiamo all’ombra). L’unico elemento di disturbo è una signora un po’ inquietante (abbronzatissima, con capelli neri molto scarmigliati, sempre in topless, con la faccia torva e scura) che cerca di sterminare le meduse. Purtroppo arriviamo tardi, ne ha già uccise un mucchietto, e riusciamo solo a salvarne una che aveva poggiato poco prima su un sasso.

Facciamo finalmente un bel pranzetto (sempre insalata ma mai uguale) e poi andiamo a Geniò, una spiaggia minuscola e particolare che ho sempre sottovalutato. Purtroppo il mare è più mosso qui quindi un po’ torbido, ma facciamo un bel bagno fino all’isoletta che si trova davanti alla spiaggia e poi restiamo a leggere sdraiati al sole. Prima del tramonto torniamo in paese dove io compro le infradito meno brutte e più economiche che trovo (le mie si sono distrutte) e ci dirigiamo presto alla nostra amata “casa”, dove facciamo un aperitivo (con Ichnusa al limone e patatine alla senape, tradizione di questa vacanza) mentre riscaldiamo della pasta già pronta sul motore ancora caldo della macchina spenta, chiudendola dentro al cofano (ricetta di cui Ric è orgoglioso). La sera giochiamo a burraco, guardiamo una puntata di una serie tv e poi dormiamo.

Il decimo giorno torniamo in paese dove compriamo focacce squisite, dolcetti a base di mandorle, zucchero e poc’altro e facciamo un giro del porto tra le barche a vela, sognando il giorno in cui potremo averne una carina, fatta un po’ a galeone e rigorosamente dipinta di azzurro. Poi arriva con il traghetto un nostro amico (quello che ci ha ospitati a Cagliari) che approfitta del suo giorno libero per venirci a trovare. Come prima tappa lo portiamo a La Bobba, la spiaggia contornata da rocce scure e rossicce, dove facciamo un bagno molto bello e una passeggiata sulla scogliera fino a Le Colonne, un faraglione roccioso che emerge dal mare blu (quando ci venivo da bambina erano due, ma da qualche anno una delle colonne purtroppo è crollata).

Poi torniamo a La Conca dove facciamo il bagno nella piscinetta naturale e ci rilassiamo facendo anche un pisolino, interrotto da un bambino nordico che urla parole incomprensibili. Ci spostiamo alla spiaggia Lucaise dove incredibilmente si trasferisce anche la stessa famiglia nordica con bambini rumorosi e dove troviamo anche una famiglia dell’est europa che ha deciso di catturare in un secchio alcuni granchi e paguri (io mi metto a parlare in inglese con la figlia per farla desistere) e branchi di adolescenti sardi in possesso di ciò che temo di più: le casse bluetooth, con le quali sparano a tutto volume la peggiore musica immaginabile). Riusciamo comunque a fare un bel bagno, poi chiaccheriamo e giochiamo a burraco. Al tramonto ceniamo insieme alla stessa gastronomia (con cous cous, fave e caponata) e infine il nostro amico torna a casa sua e noi torniamo alla nostra scogliera.

L’undicesimo giorno rallentiamo di nuovo anche perchè il mio intestino mi fa un po’ penare. Andiamo in paese a ricomprare focacce e dolcetti e scopro, chiedendo per caso, che uno dei dolci che avevo comprato il giorno prima l’avevano fatto con il burro (invece che con la margarina) e non avevano pensato a cambiare la lista degli ingredienti scritta in vetrina. Faccio notare alla titolare che è una cosa piuttosto grave e che il mio intestino ne ha risentito, ma lei sembra essere indifferente… Vabbè, pace, non ho voglia di litigare, così andiamo in spiaggia a Guidi e ci restiamo fino a pomeriggio inoltrato, tra bagni molto lunghi e bellissimi (incontriamo una miriade di pesci e alcune stelle marine).

Facciamo merenda all’ombra (con tanti bei fichi appena presi da un albero) e poi torniamo di nuovo a Nasca, per salutare degnamente la parte di costa più bella e selvaggia, quella a ovest, dove però il mare è molto mosso perchè soffia il maestrale. Facciamo un bel bagno nella piscina naturale, godiamo ancora una volta del paesaggio lunare indimenticabile e ci divertiamo a prendere gli schizzi delle onde grosse che si infrangono sulla scogliera frastagliata. Guardiamo il sole incandescente tuffarsi in mare e poi ci precipitiamo a Capo Sandalo per fare un altro aperitivo con vista sul mare, sul cielo sfumato di rosa e sul faro dell’isola. Dormiamo, ahimè per l’ultima notte, nel nostro posticino preferito.

Il dodicesimo giorno mi sveglio e mi tuffo subito in acqua per fare l’ultimo bagno all’isola di San Pietro e salutare le sue amate acque. Saluto le mestruazioni appena arrivate (ma non sono proibite in vacanza?), riempiamo la tanica e le bottiglie alla fontana di Carloforte e prendiamo al volo il traghetto delle 10. Appena salita mi dico che sì, era l’ora di venire via per esplorare nuovi luoghi, ma al tempo stesso provo una forte malinconia per quest’isola che percepisco come luogo prediletto di avventure in cui tornare e gioire. Una volta sbarcati di nuovo a Portovesme andiamo sulla costa ovest e facciamo una prima sosta alla Laveria Lamarmora (parte delle miniere di Nebida) perchè a vederla sulla mappa ci ispira. All’inizio del sentiero un bel cane bianco mi viene incontro a chiedere coccole. Lo accarezzo, sembra ben tenuto e a suo agio, ha il collare, quindi immagino sia abituato a girellare nei dintorni. Ci segue e noi ne siamo piacevolmente sorpresi. Dopo un po’, quando il sentiero si fa più stretto, il cane vede degli escrementi e vi si rotola così tanto che se li spalma addosso e diventa marrone e decisamente puzzolente. Noi restiamo allibiti e lui, da qui soprannominato Smerdino, continua a seguirci. Noi siamo paralizzati: non abbiamo nulla con cui lavarci, siamo a una miniera su una scogliera a picco sul mare e dobbiamo fare più di 300 scalini strettissimi che scendono alla laveria. Proviamo ad avviarci sugli scalini ma Smerdino ci segue velocemente e ci passa di continuo a pochi millimetri dalle gambe. No, non ce la possiamo fare… Così io decido di sacrificarmi. Ric prosegue sugli scalini mentre io distraggo Smerdino e ritorno sul sentiero principale. Corro di nuovo giù ma lui continua a seguirmi. Ci provo altre due volte: salgo al sentiero grande, aspetto che si distragga, ricorro giù e mi nascondo dietro a un cespuglio. Alla fine desiste, io mi sento in colpa e, sudata e affaticata, vado a raggiungere Ric. Bellissima la laveria abbandonata (con anche le gallerie sotteranee piene di pipistrelli che ci volano vicini) e che panorama magnifico su questa splendida parte di costa che non conoscevo!

Poi risaliamo fino alla macchina e riscendiamo da un altro sentiero minuscolo e impervio che va a una caletta nascosta e incredibilmente suggestiva in cui arriva un piccolo ruscello. Facciamo un bagno bellissimo (con enormi banchi di pesci e alcuni carri delle miniere ricoperti di vegetazione marina), troviamo un tunnel scavato nella roccia che va a un’altra caletta solitaria e una varietà di conchiglie piccolissime sulla spiaggia sassosa, tra cui due Occhi di Santa Lucia. Quando risaliamo siamo un po’ sfiniti, così pranziamo, girelliamo in macchina tra strade sperdute e paesini abbandonati e poi andiamo a Masua dove ci rilassiamo in spiaggia e facciamo un altro bagno (ma il vento è aumentato e anche le onde). Guardiamo il sole tramontare vicino al Pan di Zucchero mentre mangiamo sul letto già pronto e ci addormentiamo dopo qualche partita a burraco.

Il tredicesimo giorno ci svegliamo ed è freddo e molto nuvoloso. Andiamo a visitare Porto Flavia, uno scalo commerciale costruito per le miniere, scavato nella roccia e assai affascinante. Facciamo la visita guidata nella lunga galleria costruita per i vagoni fino ad affacciarci sul mare blu, impariamo i nomi delle rocce e dei minerali che venivano estratti e guardiamo le concrezioni che si stanno formando in alcuni anfratti. Purtroppo quando usciamo il tempo è ancora più nuvoloso e io sono molto dispiaciuta perchè desideravo vedere i fondali di questa zona per me sconosciuta… Ma niente da fare, ci mettiamo la felpa e vaghiamo tra miniere abbandonate e villaggi, sotto una pioggerellina fine. Una piccola cavalletta vuole stare sulla mia mano e mi fa compagnia per una mezz’ora (e sì, per me è una cosa bella e rilevante).

Mangiamo il cous cous che preparo senza cottura, con ceci e verdure, e poi andiamo alla spiaggia di Piscinas: enorme, selvaggia, contornata da alte dune dorate e verdi, alla quale arriva un fiume rosso. Che paesaggio spettacolare! Nonostante sia molto freddo, tiri un vento fortissimo e le onde siano alquanto minacciose, mi spoglio e mi avvicino al mare. Mi faccio bagnare e trascinare un po’ dalle onde. Mi diverto, mi sento piccola, rido. Poi passeggiamo tra dune e fiume e per cena mangiamo un piatto caldo di fregola con le verdure al bar sulla spiaggia. La notte dormiamo nel parcheggio sabbioso della spiaggia: io indosso due felpe e mi copro con la coperta di pile, c’è un vento tale che ci muove la macchina e ci culla tutta la notte e il cielo è meraviglioso, si vedono tantissime stelle e la via lattea in modo nitido. I camper vengono multati o mandati via dalla polizia perchè c’è il divieto di campeggio ma noi abbiamo solo una macchina e fortunatamente veniamo ignorati.

Il quattordicesimo giorno scopriamo che il maestrale è aumentato e le onde sono raddoppiate di altezza (il meteo dice che sono più di quattro metri!). Passeggiamo sulla spiaggia, ben lontani dal mare, e ci perdiamo nel fascino delle onde che trasformano tutto in una distesa bianca e spumeggiante e fanno suoni avvolgenti e rombanti. Ripartiamo in macchina diretti verso la costa est, con la speranza di riuscire a fare un ultimo bagno, e facciamo una sosta in un paesino sperduto al centro della Sardegna dove producono, vendono e fanno assaggiare numerose varietà di formaggi vegetali. Il proprietario ci porta un tagliere ricco e davvero goloso con il quale banchettiamo, poi compro quattro formaggi e continuiamo il nostro viaggio.

Arriviamo alla spiaggia di Cartoe alle 16, giusto in tempo per fare un bel bagno tra miriadi di pesci e isolette con tunnel marini. Purtroppo è un po’ mosso anche qui e non è caldo, ma riusciamo a godercelo. Poi ci sdraiamo sulla spiaggia desiderosi di relax e sole ma raffiche di vento e sabbia fortissime ci fanno desistere dopo poco (e mi riempiono così tanto di sabbia ogni parte del corpo che dopo una settimana continuo a trovarmi sabbia sul cuoio capelluto e nelle orecchie). Andiamo a cenare e fare il nostro tradizionale aperitivo al riparo dal vento, vicino a una grotta, per poi tornare nel parcheggio della caletta in cui eravamo, immerso nella natura, a montare il letto e dormire.

Il quindicesimo giorno mi sveglio presto e vado in spiaggia percorrendo pochi metri di sentiero. Facciamo alcuni bagnetti rapidi perchè è piuttosto freddo e ci sono ancora le insostenibili raffiche di vento e sabbia. Ma quanto è limpida l’acqua! Ne approfitto per dare qualche rimasuglio di carasau secco ai pesci che mi si avvicinano. Poi ci avviamo tristemente verso Olbia, pranziamo mentre siamo in fila per il traghetto e, mentre saliamo, io fantastico di scendere e restare ancora un po’ in Sardegna e sono seriamente combattuta. Alla fine mi arrendo e mi stendo al sole. La traversata è più tranquilla del previsto, nonostante le onde e il vento fortissimo. Dormo, giochiamo a burraco, mangiamo patatine e sbarchiamo a Piombino.

Torno a casa malvolentieri… Sarà che le due estati precedenti avevo Prippri, figlio pennuto dal quale desideravo tanto tornare. Sarà che mi manca viaggiare e che queste due settimane di libertà, leggerezza ed esplorazione non mi sono bastate, anzi sono state solo un assaggio. E allora? Chissà. Vedrò cosa accadrà. Deciderò cosa fare nei prossimi mesi e anni. Alla fine tutto è imprevedibile, tutto cambia vorticosamente e anche io con esso. E va bene così. Anzi è il suo bello.

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